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 Forse qualcosa in Italia si sta muovendo

Cercando in rete ci si accorge che associazioni nazionali quali FAI, Legambiente e WWF si stanno muovendo per contribuire alla formulazione di leggi che consentano di controllare la cementificazione dissennata a cui l’Italia è sottoposta evidenziando l’importanza del suolo come mezzo non solo di sostentamento ma anche come fonte di ricchezza (turismo).
Di seguito alcuni stralci di un comunicato stampa di Legambiente e di un dossier di FAI e WWF sul problema che minaccia il nostro paese: la speculazione operata dalle grosse ditte costruttrici con il consenso degli amministratori ai danni dei cittadini.
 
 
 STOP A NUOVO CEMENTO, DALLA PIANURA PADANA ALLE ALPI
Ufficio stampa Legambiente Lombardia

BreBeMiLegambiente plaude all'iniziativa, conclusa a Bologna dagli assessori di 8 regioni del Nord Italia, dalla Liguria al Friuli Venezia Giulia, di sottoscrivere un accordo di sviluppo territoriale per contrastare la crescita indiscriminata del consumo di suolo. Il tavolo di lavoro delle regioni del Nord è diventato una istituzione di riferimento per un Paese come l’Italia che, a differenza di altri Paesi europei, solo da poco ha colto l'urgenza di attuare misure efficaci per fermare l'emorragia di terre agricole, sempre più coperte da coltri di cemento.

Per fermare il consumo dissennato di territorio "occorre agire sulle leve economiche che favoriscono la speculazione su terreni liberi". Occorre portare avanti una legge "che si rifà proprio al fondamentale principio per cui costruire in aree agricole deve diventare un'opzione diseconomica".

Quanto stanno cercando di fare le regioni del Nord è "un percorso da incoraggiare ed estendere all'intero paese".

Leggi comunicato

 

TERRA RUBATA
Viaggio nell'Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo (Introduzione e cap. 1)

simbolo wwfFAIFAI e WWF riescono insieme a coniugare una lettura del territorio che lega profondamente interessi paesaggistici (territorio inteso nella sua valenza storico-culturale) e ambientali (tutela della biodiversità). Il quadro del territorio italiano è di estrema gravità, e alla soglia della irreversibilità.

Nelle Regioni fino ad ora analizzate (tra cui il Friulii-Venezia Giulia) emerge un'ampiezza notevole delle differenze di copertura urbana tra gli anni '50 e dopo il 2000. Una proiezione dei dati finora disponibili sull'intero territorio nazionale conduce a una superficie media di conversione giornaliera pari a oltre 75 ettari al giorno.

Questa dinamica non è irreversibile ma non è possibile attendere ancora per invertire la tendenza.

Proprio per fare in modo che il nostro Paese risponda con interventi adeguati all'emergenza in atto e alle richieste che ci vengono dall'Europa, FAI e WWF hanno provveduto all'elaborazione di proprie proposte di contrasto al Consumo di Suolo. Moratoria sul nuovo edificato in attesa della definitiva redazione dei nuovi piani paesaggistici.

Oggi sono più di 100 i comuni italiani già coperti di parti urbanizzate oltre il 50% della propria estensione. L'urbanizzazione pro capite è pari a circa 230 m2 per abitante e varia dai 120 m2/abitante della Basilicata, fino agli oltre 400 m2/abitante del Friuli-Venezia Giulia.

In Italia non è sostanzialmente possibile  tracciare un cerchio di 10 km di diametro senza intercettare un nucleo urbano, con tutto ciò che ne consegue in ragione della diffusione dei disturbi a carico della biodiversità e, guardando le cose dal punto di vista opposto, in termini di difficoltà per il piazzamento di servizi (quali le discariche di RSU) a elevato tenore di propagazione di effetti deteriori che richiedono ragguardevoli distanze dai luoghi abitati.

cantiereLa proliferazione edificatoria sganciata dalla demografia è poi provocata anche da fenomeni squisitamente economici: si guarda all'industria delle costruzioni come vettore di ripresa, anche in presenza di una recessione conclamata delle iniziative produttive e industriali. Il mercato immobiliare è del tutto scollegato dalle esigenze residenziali reali.

A titolo di esempio nella regione Molise la popolazione ha una consistenza numerica pressoché costante dal 1861, a fronte di un enorme incremento di suolo perso.

Quale ruolo ha ricoperto la pianificazione in questo processo economicamente irrefrenabile? I piani urbanistico-territoriali hanno accompagnato e assecondato questo orientamento: i terreni acquistano valore sul mercato immobiliare solamente se gli strumenti urbanistici ne prescrivono la destinazione edificatoria.

L’urbanizzazione e "cementificazione" del territorio italiano ha ricadute su:

Sfera fisico-climatica:

  • accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti climatici
  • riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni
  • effetti sul sequestro del carbonio
  • propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici
Sfera economico-energetica:
  • diseconomie dei trasporti
  • sperperi energetici
  • riduzione delle produzioni agricole

Sfera eco-biologica:

  • erosione fisica e la distruzione degli habitat
  • frammentazione ecosistemica
  • distrofia dei processi eco-biologici
  • penalizzazione dei servizi ecosistemici dell'ambiente 
  • riduzione della «resilienza» ecologica complessiva

Sfera idro-geo-pedologica:

  • destabilizzazione geologica
  • irreversibilità d'uso dei suoli
  • alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei         

svincolo2 

Sarno

 

LEZIONI STRANIERE PER INNESCARE DEVIAZIONI IN UNA STORIA ITALIANA OSTINATA E CONTRARIA
Tratto da un articolo di Paolo Pileri inserito nel rapporto 2010 del CRCS (Centro  di Ricerca Sui Consumi di Suolo)

paesaggio-scostituzione-cemento"Il paesaggio è il grande malato d'Italia", così Settis inizia il suo ultimo libro Paesaggio, Costituzione, Cemento. In questo incipit si condensa un grande paradosso italiano. Da un lato troviamo "il" Paese universalmente riconosciuto come culla della cultura e del paesaggio, debitore alla natura, al mare e alle colline, ai campi e ai borghi, dall'altro un inesorabile processo di dissipazione di quello stesso paesaggio.

Dissipazione che ha almeno tre ragioni storiche:

1) è esito di un'incapacità di cogliere, con piena convinzione, elementi di valore del territorio che vanno oltre l'accezione limitativa di "bellezza codificata" e legata a singoli monumenti

2) è risultato di un'idea di territorio che assume valore attraverso ciò che si "mette sopra" cioé attraverso l'edilizia nelle sue diverse forme. Suolo inteso come qualcosa il cui valore "reale" sta nella produzione di economia e non tanto in ciò che esso rappresenta o in ciò che esso "naturalmente" scambia in quanto risorsa in relazione e quindi fondante il paesaggio, l'ecosistema, la società, il clima, il benessere, etc.

3) è legato al più recente processo di finanziarizzazione, dai ritmi sempre più brevi e serrati, del ciclo edilizio e quindi dell'uso del suolo. La potenziale trasformazione di un terreno agricolo in uno urbanizzabile produce la concessione di un credito scambiabile nel mercato finanziario, indipendentemente dal reale fabbisogno di alloggi, imprese e servizi. Da risorsa chiave per disegnare la città e i suoi spazi pubblici, il suolo diviene moneta governata dalla volontà di profitto di alcuni imprenditori che hanno come interlocutore un governo locale privo di una strategia o progetto collettivo che abbiano a che fare con lo spazio (Mazza, 2010). Si apre così un terreno di caccia fatto di impresari che rincorrono concessioni e di governi che le danno per rincorrere a loro volta incassi e allontanare pressioni.

E così il paesaggio si trova sempre più malato. Il virus che lo minaccia continua a sopravvivere e diffondersi incontrando i favori di una cultura amministrativa debole e di un residuale sentimento diffuso per il quale usare il territorio per costruire è cosa buona e giusta, indipendentemente dal bisogno e dagli effetti.

Ad oggi i segnali di inversione di tendenza e di un'acquisita consapevolezza sono ancora pochi. Non ci sono politiche di contrasto, se non qualche iniziativa di tipo inaugurale sorta solo negli ultimi anni, complice la ricerca universitaria, il lavorio di un istituto culturale (INU), di alcune associazioni ambientaliste (Legambiente ma poi anche WWF, FAI, LIPU etc.), di alcune voci note nel mondo della cultura ambientale, agricola e del paesaggio (Petrini, Settis, Mainardi, Erbani, etc.) e di un piccolo gruppo di amministrazioni comunali (Cassinetta di Lugagnano docet).

nuove-costruzioni-SpilimbergoIl tema del consumo di suolo si è così ravvivato e ciò ha fatto da innesco per alcune forze politiche, decisori amministrativi, istituzioni e portatori di interesse culturale che hanno iniziato a muovere alcuni primi piccoli passi. Resta da capire come queste prime virtuose esperienze possano nel breve periodo avere la forza di riconsegnare il paesaggio alla cultura positiva di un Paese e di frenare fino a fermare l'erosione della risorsa suolo da parte di un'urbanizzazione ancora bulimica di profitti.

D'altronde, la decisione sull'uso del suolo affinché sia - come si ama ultimamente dire – "sostenibile" necessita di accompagnarsi ad alcuni principi basilari che vanno spiegati, diffusi e sostenuti alle diverse scale. Se questi principi non giungono fino al più piccolo comune italiano (nell'ordinamento italiano sono i comuni che decidono dell'uso del suolo) non vi è da stupirsi se le politiche di governo del territorio non solo risultano inefficaci e retoriche, ma addirittura non si pongono il problema di non consumare suolo. Quali sono allora alcuni dei principi chiave che stanno "dietro" alla questione "consumo di suolo"? I principi sono intrecciati con le funzioni "plurime" del suolo come la Commissione Europea ha ben sottolineato nella definizione di suolo inclusa nel documento anticipatore della attesa Direttiva Suoli (COM(2006)232). Ricordiamoli qui di seguito: 

  • Il suolo è una risorsa strategica per un Paese e i suoi cittadini
  • Il suolo è un bene comune
  • Il suolo libero è un potenziale insostituibile per la produzione di cibo
  • Il suolo è una risorsa ecologica ed ambientale multifunzionale: conserva carbonio, regola i cicli idrologici, governa l'umidità, offre rifugio a molte specie animali, è habitat per altre specie, sostiene la vegetazione e le sue funzioni (in primis la produzione di ossigeno e la sottrazione di CO2)...
  • Il suolo libero è la condizione di possibilità per ogni paesaggio di qualità
  • Il suolo libero garantisce l'indispensabile presenza di spazi aperti, cruciali per il benessere urbano e la salute dei cittadini.

Evidentemente queste istanze, che sono anche ed ormai questioni dimostrate dalla scienza e condivise ad alcuni livelli del dibattito disciplinare, hanno la necessità di uscire dal porto delle conoscenze tecnico-scientifiche per approdare a quello della cultura civile del Paese e delle sue istituzioni. L'uso che del suolo si può fare è, in estrema sintesi, il nocciolo della questione che riguarda il buon governo del territorio e dell'abitare quel territorio se permane il senso di cittadinanza.

Per provare a capire quali siano le strategie più efficaci per fronteggiare il consumo di suolo, è necessario osservare situazioni, casi, contesti che hanno provato, in altri paesi, a codificare soluzioni e intrapreso strade innovative.

Consideriamo alcuni inneschi e fattori di successo che dovrebbero portare a formulare orientamenti strategici in materia.

    1. La regolazione dell'uso del suolo non deve essere lasciata alla sola urbanistica, occorre vi siano anche le discipline ambientali (e quindi pedemontanapaesaggistiche ed ecologiche). Il suolo è (anche) una risorsa ambientale e come tale richiede saperi e tecniche in grado di formulare adeguati obiettivi di uso e tutela del suolo che, intuendo altre finalità, producano politiche slegate da tutto ciò che è coinvolto dalla logica della rendita fondiaria, dal ciclo dell'economia dell'edilizia, dalla presunta crescita economica legata al mattone, dall'introito fiscale locale, etc. Politiche in grado di sostenere l'importanza di alcune questioni ambientali di interesse pubblico e generale opponendosi al solo interesse della rendita.
    2. Le strategie sul contenimento del consumo di suolo non possono essere lasciate alla (sola) responsabilità delle politiche locali (i Comuni). L'interesse privato legato alla valorizzazione della rendita fondiaria, quello delle imprese legate al ciclo immobiliare e l'interesse del soggetto pubblico ad introitare denari derivanti dalle concessioni edilizie sono tra loro concatenati formando un formidabile cortocircuito che si autoalimenta senza avere interesse né a interrompersi né a ragionare sugli effetti negativi. Puro conflitto di interesse che inquina anche la miglior iniziativa politica. Ancor più se il soggetto pubblico è posto in una posizione di necessità economica e se l'uso di tali denari sono svincolati da investimenti pubblici (è il caso dell'uso degli oneri di urbanizzazione così come configurato in Italia negli ultimi anni, vd. Pileri 2009). Studi condotti in Europa ci avvertono che ad occuparsi delle strategie per scoraggiare le urbanizzazioni e contenere i consumi di suolo deve essere lo Stato o, al massimo la Regione (ma al primo è richiesto di fissare "quei" principi di riferimento). Ai comuni il compito di applicare. Eppure nel nostro Paese recentemente si è addirittura messo a segno una serie di trasferimenti di terreni dal demanio statale a quello comunale con il rischio non lontano che i Comuni diano avvio alla trasformazione di quelle aree.
    3. Alcuni concetti dovrebbero essere sottoposti ad una revisione critica che ne metta in luce gli aspetti di opacità, smascherando quelle retoriche che propongono come verità tecniche assolute assunti molto discutibili: per esempio, "quel terreno è abbandonato o è intercluso, quindi urbanizzarlo è opportuno se non ottimale". Questa affermazione ci richiama la necessità di affermare la ragione culturale.

Sul piano culturale c'è molto da fare per quanto riguarda la questione "suoli". Il significato di suolo libero, di multifunzionalità, di bene comune, di riorganizzazione dei patrimoni immobiliari esistenti e sottoutilizzati, di uso prioritario delle aree dismesse, di biodiversità, di produzione agricola non scalfisce neppure l'imprescindibilità di dover trasformare quello che ci hanno insegnato a considerare come  ‘residuo'.

Leggi rapporto